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Il coltello delle origini


Alcune delle armi nuragiche presenti nel museo

    L'uomo primitivo abituato com'era a trarre profitto da tutto, e ricavare insegnamenti da ogni esperienza vissuta, col tempo imparò, prima a cercare poi a creare, fin dal paleolitico, alcune pietre che, scheggiate, venivano trasformate in utensili e armi indispensabili per la sopravvivenza.
    Col passare dei millenni, l'avvento del neolitico (che significa appunto età della pietra lavorata), porta l'uomo a produrre, fra gli altri oggetti, raffinatissimi coltelli, servendosi di materiale adatto allo scopo: i vari tipi di selce e l'ossidiana, il vetro vulcanico. Qualcuno di questi coltelli in selce fu rinvenuto vari anni fa in Pattada, presso la Punta di San Gavino, opera di antichissimi abitatori di età neolitica che vi ebbero uno stanziamento nel III-IV millennio A.C.

    Anche dopo la scoperta dei metalli, il coltello in pietra rimane in uso: anzi acquista una sua particolare importanza specialmente nelle cerimonie religiose. Nella Roma pagana il sacerdote durante i sacrifici uccideva l'animale con un coltello di pietra chiamato in latino "culter", anche se nell'uso familiare si adoperava uno strumento più ridotto, un piccolo culter col diminutivo cultellus, da cui il sardo gulteddu e l'italiano coltello.
    Tale usanza, molto prima che a Roma, era in vigore presso gli Ebrei: anche quando si avevano strumenti in metallo, per certi riti era rigorosamente prescritto il coltello in pietra; usanza che gli Spagnoli troveranno analogamente presso i Maya, gli Aztechi e gli Incas nel nuovo mondo scoperto da Colombo, con la differenza che presso questi popoli invece del montone o del vitello veniva sacrificato in onore della divinità il prigioniero di guerra.